
Awein Kuol Lual era ancora una bambina quando venne rapita e venduta dalle milizie arabe. Dopo 28 anni di brutale schiavitù le riuscì finalmente la fuga con l’aiuto di CSI.
Malgrado fosse ancora piccola al momento dei tragici fatti, le immagini di quel giorno si sono impresse in modo indelebile nella sua memoria. «Stavo giocando con gli altri bambini quando degli sconosciuti in groppa ad asini e a cavallo fecero irruzione nel nostro villaggio, catturando me e i miei compagni. Erano rudi, ci legarono le mani e ci costrinsero a seguirli. Molti bambini e diversi adulti furono trascinati con me nel Nordsudan.
Il nostro cibo erano i resti che i predatori ci gettavano. La cosa più spaventosa però fu dover assistere all’uccisione senza motivo di due nostri compagni di sventura. Fui presa dalla terribile paura che potessero uccidere anche me. Da allora non osai più alzare lo sguardo da terra.» Giunta nel Nord Awein fu venduta al padrone di schiavi Abdullah Abakar.
Alle primissime ore del mattino doveva occuparsi delle mucche, non mangiava che i resti della famiglia e doveva dormire in un misero ripostiglio.
A undici anni, mentre era al pascolo con le mucche, fu sorpresa dal padrone che la violentò brutalmente. «Quel terribile giorno cambiò la mia vita. Mi ricordo ancora come mi trascinai a casa in preda ad atroci dolori. Piansi tutta la notte.»
Da giovane adulta Awein fu data in moglie a un Dinka, pure lui schiavo dello stesso padrone. A causa delle brutali violenze subite, però, Awein non avrebbe mai potuto avere figli.
Ogni occasione era buona per farle pesare la sua condizione di schiava e la sua impotenza. Così veniva costretta a vivere da musulmana e doveva osservare il digiuno del Ramadan. Insulti come «jengai» (schiava) e «scimmia» nonché umiliazioni varie erano all’ordine del giorno. Se poi i lavori domestici non corrispondevano esattamente alle aspettative delle mogli del padrone Abdullah, queste picchiavano la donna senza pietà.
«Abujabara era un posto terribile per me», racconta Awein. «Ma ecco che affiorò un barlume di speranza in me quando venni a sapere che nella nostra regione era arrivato un liberatore di schiavi di nome Oman Bashir. Quando un giorno mi ritrovai a pascolare le mucche nel bosco, mi resi conto che era arrivato il momento propizio. Non persi tempo e scappai. Un furgone mi riportò nel Sudan del Sud insieme con altri schiavi liberati.»
Sono ancora numerosi i Dinka costretti a vivere nel Nordsudan in condizioni di schiavitù terribili. CSI fa tutto il possibile per liberarli.