
In un comunicato Mons. Yohanna Petros Mouche, arcivescovo siriaco-cattolico di Mossul, Kirkuk e Kurdistan ringrazia CSI e altre organizzazioni per il sostegno continuo dei cristiani iracheni. Definisce la persecuzione contro i Cristiani nel suo paese un genocidio e sostiene che senza l’aiuto di organizzazioni come CSI essi non sarebbero potuto sopravvivere.
In un comunicato pubblicato di recente l’arcivescovo iracheno Mons. Yohanna Petros Mouche ha ringraziato le organizzazioni che forniscono sostegno e aiuto ai cristiani iracheni.
“A lungo il governo (iracheno) è rimasto indifferente alla sorte della nostra comunità. Le persone scacciate hanno ricevuto un aiuto molto limitato, chiaramente insufficiente per ciò che concerne alloggio, sostentamento, cure mediche e formazione. Le azioni della Chiesa, il sostegno del Papa e l’aiuto delle organizzazioni cristiani tale Church in need, L’Oeuvre d’Orient, Caritas, Christian Solidarity International, Salt Foundation e tante altre provenienti da Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna e USA ci hanno sottratto alla morte. Dobbiamo loro molto ed esprimiamo loro la nostra profonda stima e il nostro rispetto per il loro sostegno”.
Dal 2008, oltre un milione di cristiani ha lasciato il paese; migliaia sono stati assassinati da estremisti religiosi. Gli attacchi mirati contro i cristiani ebbero inizio poco dopo l’invasione USA del paese e aumentarono d’intensità con l’aggravarsi dei conflitti locali. CSI sostiene i cristiani iracheni dal 2007.
In giugno 2014 lo Stato islamico (ISIS) invase Mossul, la seconda città irachena, costringendo la popolazione cristiana a fuggire. In agosto dello stesso anno l’ISIS attaccò le città cristiane e yazide nei dintorni di Mossul: migliaia di persone furono uccise o fatte schiave, centinaia di migliaia fuggirono. Molti degli scacciati interni non hanno a tutt’oggi un alloggio fisso e vivono in campi profughi nel Kurdistan iracheno. Dall’inizio del terrore dell’ISIS nel paese CSI fornisce aiuto umanitario ai profughi interni.
Mons. Yohana Mouche scrive inoltre: “Essendo profughi da tanti anni e non avendo alcuna prospettiva le nostre famiglie cominciarono a emigrare. Sono rimaste meno di 30’000 famiglie nel Kurdistan, giorno per giorno il loro numero diminuisce: alla fine spariremo completamente. Ciò che sta succedendo è chiaramente un genocidio”.
L’arcivescovo chiama alla liberazione dei territori occupati dall’ISIS. Questo solamente permetterà ai cristiani iracheni di ritornare nelle loro case e alle loro comunità di sopravvivere. “Non siamo dei criminali, continua, non siamo responsabili di questa situazione”. Non si deve più accettare la sofferenza dei cristiani iracheni, sono necessarie garanzie internazionali, sicurezza, protezione e condizioni di vita degne in Iraq. Soltanto se queste condizioni saranno riunite, dichiara l’arcivescovo, la comunità cristiana potrà tornare e mantenere la sua eredità – “in caso contrario non potremo tornare”.
Alexandra Campana