Fuggì dal suo padrone

Alueth Bol Akuei ha vissuto un periodo della sua vita agghiacciante. Nel primo anno della sua schiavitù, dovette dormire legata insieme con gli asini. Grazie al suo coraggio, dopo 20 anni di prigionia, è riuscita a sfuggire al suo padrone brutale.

Alueth ha colto al volo la possibilità di fuggire dall’oppressione e ringrazia tutti coloro che hanno collaborato alla sua liberazione ed in particolare il suo liberatore (csi)

«Provengo da Riang Awai. Cosa di preciso successe durante il mio rapimento, non me lo ricordo più.  Allora, a metà anni novanta, ero ancora troppo giovane.

Mi ricordo tuttavia che una notte si scatenò una battaglia molto violenta tra l’armata di liberazione sudanese (SPLA) e le milizie arabe. Gli spari dell’artiglieria ci intimorivano. Per questo fuggii con i miei genitori e i miei fratelli nel sotto-bosco. Il nostro esercito di liberazione ebbe il sopravvento, ma durante la ritirata i miliziani arabi ci scoprirono e strapparono me e miei fratelli ai genitori. Disperato, mio padre cercò di salvarci, tuttavia i miliziani lo picchiarono senza riguardo, finché cadde a terra immobile. Tuttora ignoro se sia ancora vivo.

Mentre venivo deportata nel Nord, incontrai i nostri vicini, anch’essi rapiti dai miliziani. La marcia struggente verso l’ignoto durò 3 giorni. Gli adulti furono legati sui cavalli mentre noi bambini dovemmo compiere tutto il viaggio a piedi. Benché non dovetti assistere all’uccisione di alcun prigioniero, mi bastò vedere due cadaveri, una donna ed un uomo Dinka: fu una visione terribile. A lungo mi chiesi perché fossero stati uccisi.

Legata nella stalla

Arrivati al Nord, fui separata dai miei fratelli, e da allora non li ho più rivisti. Vissi nel paese Makwau con uno dei rapitori di nome Hamad. Mi portò a dormire nella stalla degli asini. Per un anno intero venni legata prima di andare a dormire e tenuta così per tutta la notte. Dopodiché almeno questa tortura terminò.

Ero l’unica Dinka della casa. Hamad sosteneva che nella grande fattoria vivevano altri Dinka, tuttavia in tutti quegli anni non vidi nessuno di loro. Ogni giorno, con pressioni violente, dovevo svolgere lavori pesantissimi quali pulire tutta la casa della sua famiglia e pulire vestiti. Subivo sempre le ire e le percosse di Hamad, per futili motivi.

Moglie per paura

Il mio padrone aveva due mogli, Asha e Amona dalle quali ebbe tre figli. Tuttavia evidentemente ciò non gli bastava. Un giorno, mentre mi pestava violentemente, disse che da quel momento anche io sarei stata sua moglie. Siccome temevo per la mia vita, glielo concessi e non replicai. Poco tempo dopo dovetti subire la mutilazione genitale; fu un’esperienza assolutamente orribile e traumatica.

Non voleva lasciarla andare

Un giorno arrivò da noi un liberatore di schiavi che voleva prendermi con sé. Tuttavia Hamad non mi lasciò partire in quanto a quel punto avevo già avuto due figli con lui ed ero di nuovo incinta. Non appena il liberatore se ne andò, mi bastonò e portò via tutti i miei vestiti come pure i miei due figli Asha e Suleiman, affinché non lo abbandonassi.

La sua volontà era più forte

Tuttavia aveva sottovalutato la mia determinazione: poco dopo scappai e fui grata di trovare relativamente in fretta il liberatore. Gli spiegai quali atrocità avesse compiuto nei miei confronti il mio padrone e che avesse portato via i miei figli. Mi rispose che mi avrebbe portato con lui nel Sud del Paese, ma senza i miei figli, poiché sarebbe stato troppo pericoloso. Aggiunse: “In un secondo tempo andrò a liberarli e te li porterò nel Sud”.

Ovviamente ne fui molto triste; tuttavia ero contenta di essere, dopo quasi 20 anni, di nuovo libera e di tornare a casa. Il mio liberatore è veramente un uomo buono e ho fiducia in lui: un giorno stringerò tra le braccia i miei due figli Asha e Suleiman.

Alueth frequenta regolarmente la chiesa

Il nostro liberatore ci portò direttamente nel Sudan del Sud.  Ne sono immensamente grata a lui e a Dio. Dal mio ritorno frequento regolarmente la chiesta del paese, cosa che non avveniva prima del mio rapimento. Nel Nord ero obbligata a pregare come una musulmana. Ora invece sono nel paese dei Dinka e libera di lodare il mio Dio!

Vi saluto di tutto cuore. Grazie per avermi liberata e per il benvenuto caloroso ricevuto al mio arrivo nel Sud.»

Reto Baliarda

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